Il lavoro delle donne sempre al centro dell’attività legislativa della consigliera Eleonora Mattia, consigliere regionale del Lazio, in quota Pd, e Presidente della IX Commissione Lavoro alla Pisana. In particolare, i temi che ha deciso di sottoporre all’Assemblea consiliare sono la regolamentazione dello smart working e la parità retributiva tra i sessi.
Presidente Mattia, due le sue proposte di legge che intendono tutelare il lavoro femminile. Una, quella sullo smart working, è strettamente collegata alla crisi economica generata dalla pandemia e concentra l’attenzione sull’equilibrio dei tempi di vita e di lavoro e della condivisione dei tempi di cura familiari. Ce ne parli…
“Lo smart working era considerato una sperimentazione innovativa, poi, con la necessità di rimanere in casa durante il lockdown e le limitazioni imposte dalla pandemia, è divenuta una regola e per le lavoratrici e i lavoratori sono cambiati rapidamente i tempi e le modalità di vita.
Il fortissimo impatto che la digitalizzazione sta avendo sul mondo del lavoro ci obbliga ad affrontare temi come la flessibilizzazione dei tempi, che caratterizza questa nuova modalità di lavoro, e la conciliazione della vita professionale e personale dei lavoratori, perché se da un lato è vero che possono godere di una maggiore autonomia, dall’altro è innegabile che l’iperconnettività, confondendo i confini tra vita professionale e vita personale, può esporli a maggiori rischi per la salute – tanto fisica, quanto mentale – con l’insorgenza di patologie come il techno-stress, la dipendenza tecnologica, il burnout”.
Lavoratrici e lavoratori, dunque, più tutelati anche in smart working?
“E’ necessario ristabilire il perimetro dello svolgimento di questo nuovo modello di lavoro affinché il processo di digitalizzazione sia rispettoso dei diritti e delle specifiche tutele previste a favore delle lavoratrici e dei lavoratori, a maggior ragione se si considera che il 24 percento della forza lavoro nazionale può essere potenzialmente impiegata in smart working sia nelle grandi imprese che nelle piccole e medie imprese, ma anche nella pubblica amministrazione”.
Una proposta di legge che sembra rivolgersi con particolare attenzione alle lavoratrici, vero?
“Come è emerso da svariati studi sul tema, si può parlare di un impatto di genere della quarantena e in particolare di un diverso impatto nella rimodulazione delle prestazioni lavorative.
Secondo l’inchiesta di “Valore D”, durante la chiusura, 1 donna su 3 ha lavorato più di prima e non riusciva, o a fatica, a mantenere un equilibrio tra il lavoro e la vita domestica.
Tra gli uomini il rapporto era di 1 su 5. Questo “extreme” working è composto dalle difficoltà comuni della modalità agile – che richiede grande disciplina e per molti è stata una vera e propria sperimentazione – a tutto il carico di lavoro di cura extra, declinato in vari modi: supporto alla didattica a distanza, cura e intrattenimento dei bambini più piccoli, cura della casa, dei congiunti malati o non autosufficienti.
Un’esasperazione di storture preesistenti ed aggravate dalla situazione emergenziale. La “gabbia” della pandemia non è però – sul lungo termine – lo smart working, ma tutto ciò che tale modalità lavorativa svela. Se durante la quarantena il problema era la chiusura della scuola, in generale lo è la mancanza (o l’eccessivo costo) dei servizi educativi e del tempo pieno.
Ancora, il tema non è il maggiore carico di lavoro domestico dovuto alla chiusura in casa, ma che, normalmente, anche a parità di ore lavorate fuori, il lavoro riproduttivo ricada automaticamente e quasi esclusivamente sulle spalle delle donne. Il problema principale è l’ingente e ingiustificabile quota di lavoro non retribuito che viene quotidianamente e per tutta la vita svolto da ciascuna di noi, spesso senza il minimo riconoscimento”.
Nella sua proposta di legge si parla, quindi, di diritto di disconnessione. Cosa si intende?
“Riconoscendo il ruolo fondamentale assunto dalla tecnologia nell’ambito lavorativo, si intende nella pratica regolare giuridicamente il diritto alla disconnessione, ovvero il diritto del lavoratore a interrompere i contatti con il datore di lavoro senza per questo incorrere nell’inadempimento della prestazione e, conseguentemente, senza esporsi a sanzioni disciplinari”.
L’altra sua proposta di legge si concentra sulla parità retributiva. In cosa consiste e come procede l’iter legislativo?
“Con la proposta di legge n. 182 dell’11 settembre 2019 siamo alle ultime battute in IX Commissione lavoro e pari opportunità del Consiglio regionale. Il testo è stato emendato e votato dai commissari e, una volta approvata la norma finanziaria, passerà all’esame dell’aula.
Sono fiduciosa che a breve la Regione Lazio avrà una nuova legge quadro sull’occupazione femminile, quanto mai urgente per far fronte alle nuove sfide del mercato del lavoro. Nel 1977, grazie alla tenacia di Tina Anselmi, il Parlamento italiano approvava la legge n. 603 che ha attuato l’articolo 37 della Costituzione in materia di parità retributiva tra uomini e donne.
Oggi in Italia, dopo 43 anni, ancora una donna su due non lavora e il divario salariale raggiunge picchi del 52% di retribuzione in meno per le lavoratrici autonome. La proposta di legge è un tassello del grande lavoro che come Regione Lazio stiamo portando avanti per costruire un mondo a misura di uomini e di donne”.
Quali misure prevede il suo disegno di legge?
“Come dicevo, la legge si presenta come una normativa quadro sul macro-tema del lavoro femminile. Abbiamo dedicata una sezione all’imprenditoria femminile con fondi dedicati per sostenere le aziende virtuose e incentivare la cultura imprenditoriale nelle donne.
C’è una grande attenzione al tema della formazione sia in ambito universitario che di formazione continua, con focus su materie STEM e in generale sui percorsi altamente specializzanti per combattere la segregazione di genere nella scelta degli studi e nelle progressioni di carriera.
Sono presenti misure per contrastare l’abbandono lavorativo e incentivare l’occupazione femminile tramite appositi sportelli donna nei centri per l’impiego, il supporto al reinserimento lavorativo delle donne vittime di violenza prese in carico dalla rete regionale dei centri e case rifugio e delle donne disabili, nonché forme di supporto economico – tramite il microcredito – per tutte le donne in condizioni di disagio sociale.
Ancora, un focus per la rappresentanza paritaria nei luoghi decisionali: abbiamo previsto che in tutte le nomine regionali un genere non potrà essere rappresentato, su scala annuale, per più di 2/3 e abbiamo previsto forme di premialità per i Comuni che nella composizione delle Giunte rispettino la parità di genere.
Infine, per rispondere all’esigenza di conciliare tempi di vita e di lavoro nonché di bilanciare il carico di lavoro di cura, abbiamo predisposto dei voucher per l’acquisto di servizi di baby sitting in alternativa alla fruizione del congedo parentale (poco retribuito) per le donne e, sempre nella stessa ottica, dei bonus economici per i padri che restano a casa in alternativa alle mamme.
Abbiamo anche cercato di inglobare le tante buone pratiche già messe in atto dalla Regione, per renderle strutturali, come per esempio, da ultimo, il criterio delle quattro gare da 190 milioni in cui il 16% del punteggio complessivo sarà riservato alle imprese partecipanti che dimostreranno all’interno del proprio organico la presenza di donne nei ruoli apicali, l’assenza di verbali di conciliazione ed una attenzione per la sostenibilità sociale”.