Si scrive scuola, si legge rimpasto. Nella riunione del consiglio dei ministri dedicato al decreto sulle ulteriori misure per il contenimento del Covid, i due temi finiscono per intrecciarsi, se non altro perché i nomi dei protagonisti sono gli stessi. Con il provvedimento a grandi linee già deciso nei passaggi centrali – inasprimento delle soglie di incidenza per disegnare la divisione a fasce, divieto di spostamento tra regioni dal 7 gennaio e fino al 15 gennaio, zona arancione nazionale nei festivi e prefestivi fino al 15 – resta sul tavolo la sola grande questione della didattica in presenza per le scuole superiori.
Fin dalla mattina il tema divide il fronte dei ‘rigoristi’ e quello degli ‘aperturisti’: oltre alle regioni, con il Veneto, la Campania e il Friuli in testa, a chiedere uno slittamento c’è questa volta anche il Pd di Nicola Zingaretti, che ha schierato fin da subito il capodelegazione Dario Franceschini ed anche l’assessore regionale nel Lazio Alessio D’Amato, protagonista di un accorato appello (‘non riaprite quelle scuole’).
Al ministro della salute Roberto Speranza tocca l’ingrato compito di portare in cdm una posizione, la riapertura al 7 gennaio, che pare sacrificata già’ in partenza. Dopo altri slittamenti, infatti, era stato il premier Giuseppe Conte a tenere il punto per difendere la linea Azzolina, e cioè apertura al 7, con affluenza ridotta al 50%.
Ironia della sorte, ieri in cdm a sostenere la necessità di riaprire si sono schierate – a modo loro – anche le due ministre renziane Bellanova e Bonetti, mentre dal M5s non e’ arrivata la levata di scudi che era prevedibile.
Fonte testo: Agenzia Dire, www.dire.it / fonte foto: www.governo.it