“È morto da solo. Con nessuno a cui importasse nulla di lui e pensando che la sua famiglia, che c’era sempre stata, lo avesse abbandonato. Non perdonerò mai che mio fratello Stefano sia morto tra dolori atroci, da solo, solo come un cane“.
A parlare, nell’aula bunker di Rebibbia è Ilaria, sorella di Stefano Cucchi, ascoltata come testimone nel processo a carico dei carabinieri accusati di aver depistato le indagini sulla morte del geometra romano, portato in caserma per droga, pestato e morto nell’ottobre del 2009, una settimana dopo il suo arresto.
Ilaria, ripercorrendo i momenti in cui lei e la sua famiglia hanno appreso della morte di Stefano, ha mostrato alla corte la grande foto con il volto tumefatto di Stefano. “La cosa che mi fa più male, è pensare che lui è morto da solo, con la consapevolezza che noi gli avessimo voltato le spalle. Io e Stefano eravamo legatissimi– ha detto Ilaria- era la persona che piu’ amavo al mondo.
La decisione di far scattare e rendere pubblica quella foto fu difficile: dovetti discutere con i miei genitori, mia madre diceva ‘Stefano non avrebbe mai voluto mostrarsi così’ e io le risposi ‘Stefano non avrebbe mai voluto morire così’. Capii che dovevamo dimostrare che Stefano stava bene prima dell’arresto e il giorno del funerale decidemmo di fare scattare quelle foto. Se non lo avessimo fatto, non saremmo a questo punto“.
ILARIA IN AULA: PRIMO PROCESSO FU A STEFANO, UN INCUBO
“Il primo processo fu un incubo, un processo a mio fratello, un processo a un morto. A ogni udienza pensavo: ‘Stefano mio a cosa ti stanno sottoponendo’. Si parlava di tutto fuorché del motivo per cui eravamo lì: della vita di Stefano, della sua magrezza, persino di che fine aveva fatto la sua cagnetta e anche dei rapporti nella nostra famiglia”, ha sottolineato Ilaria.
“A un certo punto- ha detto Ilaria riferendosi a un consulente medico legale- ho sentito parlare anche di ‘frattura da bara’, come se mio fratello se la fosse fatta da morto. La sentenza di primo grado stabilì che la morte di Stefano era da attribuire a una colpa medica. Amici e parenti degli assolti insultarono e umiliarono la mia famiglia. Mi ricordo che qualcuno ci mostrò anche il dito medio“.
Durante la lunga deposizione, ancora in corso nell’aula bunker di Rebibbia, Ilara Cucchi ha detto: “Io non ho mai voluto un colpevole a tutti i costi, ho sempre cercato la verita’”. Ripercorrendo l’iter giudiziario sulla morte del fratello, ha poi letto una mail ricevuta da un avvocato che, dopo aver visto le foto del fratello,
aveva ricordato di averlo incontrato davanti all’aula 17 di Piazzale Clodio, mentre veniva portato all’udienza di convalida: “Aveva il viso gonfio, un’aria provata e difficoltà a camminare, non sollevava del tutto i piedi da terra. Era in uno stato di palese difficolta’”.
Ilaria, nel corso della sua deposizione, ha letto anche il testo della lettera che suo fratello scrisse a Francesco, un operatore della comunità di recupero poche ore prima di morire: “‘Sono giù di morale, volevo sapere se potevi fare qualcosa per me.
Ps per favore almeno rispondimi, a presto’. Il Ceis ce la fece avere nel febbraio del 2010, quella lettera- ha ricordato Ilaria- era la prova che Stefano non voleva morire, la calligrafia racconta la sua sofferenza, doveva stare male per scrivere in quel modo”.
ILARIA: RICEVO INSULTI E MINACCE, HO TEMUTO PER MIA FAMIGLIA
“Subisco attacchi in quantità industriale, ho ricevuto e continuo a ricevere insulti e minacce social. Ho spesso temuto per l’incolumità mia e della mia famiglia. Passo buona parte del mio tempo in commissariato o alla polizia postale per presentare denunce contro chi attacca. Tra le accuse più assurde che mi vengono rivolte – ha aggiunto – c’è quella di un medico di Ferrara che mi dice che mi sono arricchita con la morte di mio fratello, che ho trovato la mia ‘gallina dalle uova d’oro’”.