Luca Andreassi è vicesindaco e assessore ai Lavori Pubblici di Albano Laziale. Negli anni ha seguito in prima persona la situazione del ciclo rifiuti a Roma, in provincia e nel Lazio. Lo abbiamo intervistato per capire cosa pensa del rogo che due giorni fa ha devastato il tmb di Malagrotta, a Roma.
Professor Andreassi, ci risiamo. L’impianto TMB di trattamento meccanico e biologico dei rifiuti di Malagrotta è in fiamme. Un film già visto come anche lei ha commentato sulla sua pagina facebook. Secondo lei perché?
Il film è già visto, è vero. L’incendio al Salario prima, a Ronciglianopoi. Impianti molto simili. E quando accadono queste cose si alza sempre forte il sospetto che ci sia il dolo, sia per la particolarità del settore, certamente non esente da infiltrazioni di tipo delinquenziale, sia per una certa predisposizione giustizialista, in particolare dell’informazione. Il dolo, naturalmente, non è da escludere, tanto che la magistratura, come fu col Salario e con Roncigliano, è già al lavoro.
Ma soffermiamoci un attimo sulle caratteristiche dell’impianto. Il TMB tratta il rifiuto indifferenziato, quello dei cassonetti per capirci, per operare una separazione e triturazione meccanica e, soprattutto, stabilizzare biologicamente la frazione organica presente.
Per poter inviare i rifiuti in qualsiasi impianto di termovalorizzazione, questo passaggio della stabilizzazione biologica è obbligatorio.
Il rischio di incidente è proprio nel DNA dell’impianto TMB, perché èuna tecnologia vecchia e con una presenza di grandi quantità di materiale infiammabile. La frazione organica rende l’impianto a rischio non appena scocchi una qualsiasi scintilla, anche accidentalmente.
Naturalmente più rifiuti sono stoccati e trattati, ovvero più grande è l’impianto, più elevato è il rischio e più grande è il danno ambientale in caso di incidente.
Da più parti questo evento dannoso viene visto come un’ulteriore dimostrazione della necessità di un termovalorizzatore. È d’accordo?
Secondo me c’è un po’ di confusione su un aspetto. L’immagine che è passata è di un grande forno in cui si svuotano tutti i rifiuti deicassonetti stradali di Roma, che verrebbero bruciati producendo energia e scomparendo dalle strade. In realtà, il rifiuto del cassonetto deve essere prima trattato, perché, se è presente una significativa quantità di materiale organico putrescibile, si deve attuare una stabilizzazione biologica. Oltre che alla triturazione e separazione meccanica, il TMB serve a questo. Di questa fase non si parla, ma è invece obbligatoria. Quindi no, il termovalorizzatore non supera la necessità di un impianto che stabilizzi la frazione organica. A meno che non si riesca a produrre un rifiuto solido urbano davvero secco.
Ci spieghi meglio questo concetto.
È semplice e immediatamente attuabile. Un investimento da parte della Città di Roma per mettere a disposizione dei cittadini romani degli strumenti semplici per poter separare almeno l’umido dal resto dei rifiuti. Penso anche semplicemente a cassonetti stradali particolarmente colorati. Insomma, niente di complesso. Poi una campagna di informazione che sia martellante e asfissiante per far capire quanto sia importante attuare questa separazione. Perché avere un rifiuto prevalentemente secco sarebbe un enorme vantaggio quale che sia la soluzione finale che si vuole attuare. Vuoi bruciarlo e produrre energia? Bene, hai comunque una necessità di stabilizzazione biologica molto meno gravosa, meno impianti, meno rischi. Vuoi solo recuperare materia e fare la differenziata? Hai già fatto la parte principale, separando il 40% dei rifiuti prodotti da ognuno di noi. Insomma, sarebbe un anello funzionale e fondamentale qualunque sia l’idea di ciclo dei rifiuti che si ha in testa.
Basterebbe questo per garantire la sicurezza?
No, ma la aumenterebbe senz’altro. Io sostengo poi anche la necessità di ridurre la taglia degli impianti. In generale, di ogni impianto. Credo che l’impianto debba essere funzionale al territorio e dunque integrato, perché solo così si rispetterebbe il principio europeo della prossimità, con meno tir in circolazione. Inoltre, tanti impianti piccoliridurrebbero il carico dei rifiuti stoccati e trattati, garantendo una più efficace gestione della sicurezza e della manutenzione.
Cosa di devono aspettare i cittadini romani, nell’immediato?
ARPA e ASL stanno analizzando concentrazioni inquinanti nell’aria e poi – mi auguro – sui campi, visto che le diossine eventualmente prodotte ricadranno a terra e potrebbero contaminare verdure, frutta ma anche alterare la filiera dei prodotti zootecnici, come il latte delle mucche per intenderci.
Nel frattempo, il Sindaco di Roma lavorerà a trovare sbocchi alternativi per i rifiuti che non possono essere più trattati a Malagrotta. La storia ci insegna che è probabile che tali sbocchi potranno trovarsi a dei costi maggiori degli attuali e, se saranno significativamente superiori, non escludo la possibilità di un aumento delle tariffe in corso d’opera.
In ultimo, Roma uscirà mai da questa emergenza rifiuti?
Ne uscirà quando la soluzione che si proverà ad attuare, qualunque essa sia, verrà ricercata con la consapevolezza che il ciclo dei rifiuti si risolve solo considerando l’intero ciclo e smettendo di pensare che ci sia qualche intervento o impianto magico che faccia sparire i rifiuti dalla strada con un semplice colpo di bacchetta.
Professor Andreassi, ci risiamo. L’impianto TMB di trattamento meccanico e biologico dei rifiuti di Malagrotta è in fiamme. Un film già visto come anche lei ha commentato sulla sua pagina facebook. Secondo lei perché?
Il film è già visto, è vero. L’incendio al Salario prima, a Ronciglianopoi. Impianti molto simili. E quando accadono queste cose si alza sempre forte il sospetto che ci sia il dolo, sia per la particolarità del settore, certamente non esente da infiltrazioni di tipo delinquenziale, sia per una certa predisposizione giustizialista, in particolare dell’informazione. Il dolo, naturalmente, non è da escludere, tanto che la magistratura, come fu col Salario e con Roncigliano, è già al lavoro.
Ma soffermiamoci un attimo sulle caratteristiche dell’impianto. Il TMB tratta il rifiuto indifferenziato, quello dei cassonetti per capirci, per operare una separazione e triturazione meccanica e, soprattutto, stabilizzare biologicamente la frazione organica presente.
Per poter inviare i rifiuti in qualsiasi impianto di termovalorizzazione, questo passaggio della stabilizzazione biologica è obbligatorio.
Il rischio di incidente è proprio nel DNA dell’impianto TMB, perché èuna tecnologia vecchia e con una presenza di grandi quantità di materiale infiammabile. La frazione organica rende l’impianto a rischio non appena scocchi una qualsiasi scintilla, anche accidentalmente.
Naturalmente più rifiuti sono stoccati e trattati, ovvero più grande è l’impianto, più elevato è il rischio e più grande è il danno ambientale in caso di incidente.
Da più parti questo evento dannoso viene visto come un’ulteriore dimostrazione della necessità di un termovalorizzatore. È d’accordo?
Secondo me c’è un po’ di confusione su un aspetto. L’immagine che è passata è di un grande forno in cui si svuotano tutti i rifiuti deicassonetti stradali di Roma, che verrebbero bruciati producendo energia e scomparendo dalle strade. In realtà, il rifiuto del cassonetto deve essere prima trattato, perché, se è presente una significativa quantità di materiale organico putrescibile, si deve attuare una stabilizzazione biologica. Oltre che alla triturazione e separazione meccanica, il TMB serve a questo. Di questa fase non si parla, ma è invece obbligatoria. Quindi no, il termovalorizzatore non supera la necessità di un impianto che stabilizzi la frazione organica. A meno che non si riesca a produrre un rifiuto solido urbano davvero secco.
Ci spieghi meglio questo concetto.
È semplice e immediatamente attuabile. Un investimento da parte della Città di Roma per mettere a disposizione dei cittadini romani degli strumenti semplici per poter separare almeno l’umido dal resto dei rifiuti. Penso anche semplicemente a cassonetti stradali particolarmente colorati. Insomma, niente di complesso. Poi una campagna di informazione che sia martellante e asfissiante per far capire quanto sia importante attuare questa separazione. Perché avere un rifiuto prevalentemente secco sarebbe un enorme vantaggio quale che sia la soluzione finale che si vuole attuare. Vuoi bruciarlo e produrre energia? Bene, hai comunque una necessità di stabilizzazione biologica molto meno gravosa, meno impianti, meno rischi. Vuoi solo recuperare materia e fare la differenziata? Hai già fatto la parte principale, separando il 40% dei rifiuti prodotti da ognuno di noi. Insomma, sarebbe un anello funzionale e fondamentale qualunque sia l’idea di ciclo dei rifiuti che si ha in testa.
Basterebbe questo per garantire la sicurezza?
No, ma la aumenterebbe senz’altro. Io sostengo poi anche la necessità di ridurre la taglia degli impianti. In generale, di ogni impianto. Credo che l’impianto debba essere funzionale al territorio e dunque integrato, perché solo così si rispetterebbe il principio europeo della prossimità, con meno tir in circolazione. Inoltre, tanti impianti piccoliridurrebbero il carico dei rifiuti stoccati e trattati, garantendo una più efficace gestione della sicurezza e della manutenzione.
Cosa di devono aspettare i cittadini romani, nell’immediato?
ARPA e ASL stanno analizzando concentrazioni inquinanti nell’aria e poi – mi auguro – sui campi, visto che le diossine eventualmente prodotte ricadranno a terra e potrebbero contaminare verdure, frutta ma anche alterare la filiera dei prodotti zootecnici, come il latte delle mucche per intenderci.
Nel frattempo, il Sindaco di Roma lavorerà a trovare sbocchi alternativi per i rifiuti che non possono essere più trattati a Malagrotta. La storia ci insegna che è probabile che tali sbocchi potranno trovarsi a dei costi maggiori degli attuali e, se saranno significativamente superiori, non escludo la possibilità di un aumento delle tariffe in corso d’opera.
In ultimo, Roma uscirà mai da questa emergenza rifiuti?
Ne uscirà quando la soluzione che si proverà ad attuare, qualunque essa sia, verrà ricercata con la consapevolezza che il ciclo dei rifiuti si risolve solo considerando l’intero ciclo e smettendo di pensare che ci sia qualche intervento o impianto magico che faccia sparire i rifiuti dalla strada con un semplice colpo di bacchetta.