Lo scrittore marinese Marco Onofrio ripercorre i suoi primi trent’anni di carriera letteraria

Lo scrittore marinese Marco Onofrio ripercorre i suoi primi trent’anni di carriera letteraria

Trent’anni di carriera letteraria per Marco Onofrio. Il noto scrittore romano, castellano di adozione, pubblicava difatti il suo primo libro – il romanzo “Interno cielo” – il 30 aprile 1993. Da allora un’eruzione continua di pagine ed opere per un totale, ad oggi, di ben 40 libri (ma il quarantunesimo, una raccolta di riflessioni su argomenti storici, politici e sociali dal suggestivo titolo “Ricordi futuri”, è già in arrivo dalla tipografia…) che fanno di Onofrio uno degli autori più vivaci, interessanti e prolifici della scena culturale contemporanea. Lo abbiamo incontrato a Marino, dove vive dal 2006, per raccogliere le emozioni con cui sta vivendo, tra passato, presente e futuro, l’importante anniversario.

Onofrio, che cosa rappresenta per lei questo trentennale?

“Un punto di arrivo che, come ogni traguardo, è opportuno vivere come un punto di partenza. Un momento di riflessione che apre lo sguardo a nuove, stimolanti prospettive”.

Come ricorda il suo esordio?

“Con emozione, ricordando l’emozione di allora. Avevo 22 anni, tremavo di gioia. Il libro uscì a Milano con Italia Letteraria, una casa editrice specializzata nel lancio di nuovi autori”.

Qual è, secondo lei, il suo libro più bello?

“Non sta a me dirlo. Posso citare alcune opere che ritengo tra le più segnanti e significative del mio mondo creativo, ad esempio il romanzo “Senza cuore”, le tragicommedie “La dominante” ed “È caduto il cielo”, i racconti onirici “Energie”, le raccolte poetiche “Anatomia del vuoto” e “Azzurro esiguo”. Ma il mio libro più importante è ancora inedito, e probabilmente sarà l’ultimo ad uscire”.

E il libro che ha avuto finora più successo?

“Senza dubbio “Emporium. Poemetto di civile indignazione”, più volte messo in scena, e il successo si spiega probabilmente grazie alla sintonia con i malesseri del mondo in quest’epoca di crisi e degrado. Lettori e spettatori si sono sentiti rappresentati dalle parole di quel testo, anche in Spagna dove è stato tradotto e pubblicato nel 2019. Da “Emporium” è poi nato il progetto de “La cenere dei Sogni” che sto performando in collaborazione con il musicista Valerio Mattei”.

Ce n’è, tra i 40, qualcuno che si è pentito di aver pubblicato?

“No, tutti hanno dentro il loro perché. So di certo che quando uscirono rispondevano all’esigenza che mi ha portato a scriverli e pubblicarli. Ovviamente, rileggendomi a distanza di anni, scriverei quelle cose in modo diverso. Però in questo modo si finirebbe per scrivere e riscrivere sempre lo stesso libro, e invece si insegue il “libro ideale”, da cui si è perennemente “abitati”, attraverso opere nuove, avendo cioè il coraggio di licenziarle e pubblicarle così come sono quando, magari dopo anni di revisioni, ci sembrano “pronte”. Poi è normale che non tutti i libri riescano al massimo delle loro possibilità, fa parte della storia di ogni scrittore; l’importante è che non si vada mai al di sotto di un certo livello professionale”.

Si vede più poeta, narratore, saggista o drammaturgo?

“Poeta, perché lo sono anche quando scrivo in prosa, ad esempio racconti o saggi critici. È poetica la mia attitudine espressiva, cioè anzitutto il mio modo di guardare alle cose. Ed è poetica anche l’intensità musicale con cui – per istinto innato – elaboro parole e frasi quando scrivo. Per me scrittura è sempre “composizione”.

Perché scrive così tanto? Non teme di ripetersi?

“Perché ho tante cose da dire! L’importante non è scrivere “tanto” (in genere rappresenta un problema solo per chi scrive poco…) ma non scrivere “troppo”, cioè cose evitabili o inutili o, appunto, ripetitive. Uno dei complimenti più belli che ricevo dai lettori è che nei miei libri si sente che sono io, il mio stile è riconoscibile, ma ogni libro è comunque diverso dal precedente, ha una sua “intonazione” particolare e originale”.

Quanti libri prevede di scrivere ancora?

“Impossibile prevederlo, anche perché spesso i libri più belli e felici nascono all’improvviso, più che per decisione programmata. Posso dire che, se la salute mi assiste e la vita me lo consentirà, ho in “canna” – ad oggi – una quindicina di libri inediti che spero di concludere e pubblicare”.

Perché nella vita ha fatto lo scrittore? Che “mestiere” è?

“Lo scrittore non è un mestiere che “si fa”, ma anzitutto una condizione che “si è”. Quindi direi anzitutto che “sono” uno scrittore, e che ho anche la fortuna di poterlo fare. Ho voluto coincidere con la vocazione che avevo fin da piccolo, e per una serie di circostanze favorevoli non sono stato costretto a rinunciarvi – come purtroppo accade a molti, pur dotati. Inizialmente avevo un’attitudine pittorica, a cui (intorno ai 15 anni d’età) preferii man mano quella poetica. Intorno ai vent’anni mi ero persuaso alla carriera giornalistica, ma venni presto dissuaso dalle prime vere esperienze redazionali. In realtà sono un musicista e un cantante mancato”.

Come definirebbe, in pochissime parole, l’ambiente letterario?

“Tranne rare eccezioni è una jungla di serpenti, pronti a inoculare il veleno dell’invidia non appena avvertano la minaccia, anche presunta, di un attentato narcisistico al loro Ego. Chi si mette in luce scopre automaticamente di essersi fatto dei nemici che non sapeva e non credeva di avere”.

Che consigli darebbe a un giovane autore?

“Di leggere e studiare molto prima di scrivere. Di non aver fretta di pubblicare, pensando solo agli applausi. Di non cercare le vie facili (il potere, il presenzialismo, le pubbliche relazioni) ma di impegnarsi seriamene nel percorso. La scrittura non è una prescrizione medica, è una vocazione che occorre perseguire solo se si è davvero portati e chiamati a farlo”.

Il “fiume in piena” della sua scrittura dà spesso l’impressione di esplodere dalla rabbia e dall’insofferenza. Che cos’è che la indispone così tanto?

“Detto in estrema sintesi, il fatto che il mondo continui a preferire Barabba a Cristo. Ma i sepolcri imbiancati fingono che questo non accada, ogni giorno, ogni momento della storia umana. È troppo facile battersi il petto e poi volgere altrove lo sguardo”.

Che importanza dà all’impegno politico?

“Importanza sostanziale, non programmatica o accessoria. Scrivere “è” impegno politico a 360° nella misura in cui consente di capire meglio la realtà e di scuoterla dall’inerzia dei suoi problemi”.