Non è mai troppo tardi per giocare a pallacanestro. E anche per vincere un oro europeo. A quasi 30 anni dal suo addio al basket giocato, Luciana Montelatici, ex azzurra degli anni ’80, decide di tornare in campo. E riesce nell’impresa di vincere una medaglia continentale, lo scorso giugno in Portogallo, alla veneranda età di 66 anni. Un fenomeno straordinario di longività agonistica, grazie soprattutto alle sue doti di eccezionale atleta, con alle spalle ben tre maratone. “Avevo smesso a 37 anni – racconta -. Ho ripreso a giocare perché ero stanca di allenare, non mi divertivo più. Sono orgogliosa della mia età. Vincere un oro europeo a 66 anni per me è una grande soddisfazione”.
Trevigiana di ferro, ex giocatrice di Serie A degli anni ’80 e ’90, agli Europei Esba maxi basket dello scorso giugno ad Albufeira, in Algarve, lei non doveva nemmeno esserci, a causa di una brutta frattura al polso sinistro. E invece non soltanto è riuscita a giocare, ma pur essendo la più anziana del gruppo è stata decisiva per la sua squadra, la formazione Over 60 delle Golden Players Italia. “Il 20 maggio giocando su un campetto di cemento mi hanno spinta e sono caduta. Ero disperata. Mi ero impegnata tantissimo per un anno per esserci a questi Europei. Quando mi hanno detto che avevo il polso fratturato mi è caduto il mondo addosso. E dire che in carriera non mi ero mai rotta niente”. Sono state le compagne Golden a convincerla ad andare lo stesso in Portogallo: “loro mi hanno dato la forza, altrimenti non sarei mai partita. Inizialmente l’idea era di andare in panchina, ma non ce l’ho fatta a non giocare, è stato più forte di me. A un certo punto era talmente tanta la voglia che mi sono fasciato il polso e sono entrata in campo. Ho giocato praticamente con una sola mano, ho rischiato, ma nella vita se vuoi avere soddisfazione bisogna buttarsi”. Il suo contributo alla fine è stato determinante: migliore realizzatrice della squadra con una media di 8,5 punti a partita e anche “regina” degli assist (2,3 di media). “Ho fatto valere la mia esperienza, le altre mi hanno seguito. Ma non si vince mai da soli”.
Nella sua lunga carriera di giocatrice vanta 43 presenze in Nazionale, in Serie A ha vissuto la promozione con la sua Treviso nel 1977, poi le avventure a Schio, alla Bata Roma, con la conquista della Coppa Ronchetti nell’84 a Budapest, quindi il ritorno a Schio e infine a Treviso dove, dopo l’ultima stagione del ’94, ha iniziato la carriera di allenatrice, culminata il 23 ottobre del 2020 con la nomina da parte della Fip ad “allenatore benemerito”. Docente di scienze motorie e sportive l’ex playmaker azzurra si è dedicata anche molto allo sport applicato al sociale. “Ma a un certo punto il ruolo di allenatrice mi ha stufato – ammette con franchezza -, le nuove generazioni sono più complicate. Con loro non basta essere dei bravi tecnici, è più importante fare la parte gestionale del gruppo. Bisogna essere meno tecnici e più psicologi. I ragazzi di oggi cercano la strada più facile, neanche sono nati e hanno già un procuratore. Roba dell’altro mondo. La scuola neanche li aiuta: da noi ci sono solo due ore di scienze motorie alla settimana, in altri Paesi le ore sono quattro o cinque, con attività anche pomeridiane”. Ed è allora che è scattata la scintilla che l’ha spinta a tornare in campo. “Le cose vanno fatte con passione – spiega – Ho deciso di riprendere semplicemente perché solo così mi diverto”.
Per questo ha sposato la causa dei Golden Players, un movimento di quasi 500 atleti master (di età compresa dai 45 ai 65 anni e oltre), in costante crescita, il cui motto è: continuare a giocare, divertirsi e mantenersi in forma. Ma anche vincere: ad Albufeira i Golden hanno presentato otto formazioni (cinque maschili e tre femminili) raccogliendo – in un campionato continentale dalla formula “open” (hanno partecipato 1500 atleti e 114 squadre con nazionali anche d’oltreoceano, Stati Uniti compresi) – due ori, con la over 60 femminile e la over 50 maschile, e un argento con la over 45 femminile. “Dopo gli Europei Fimba di Malaga dello scorso anno – racconta la Montelatici – ho visto un post dove cercavano giocatrici. Così li ho contattati”. Da lì sono iniziati gli allenamenti e i raduni, poi l’infortunio, che sembrava aver spezzato il sogno. E invece la sua forza di volontà ha vinto su tutto. In campo con la sua tecnica, la sua tenacia e la sua classe ha trascinato la sua squadra a un risultato storico per tutto il movimento Golden. Nonostante il polso sinistro menomato: “Ogni volta che tornavo in panchina o durante un time out mi mettevo il ghiaccio. Ho stretto i denti. Ma purtroppo adesso lo sconto: non sono ancora guarita, il polso ancora mi si gonfia e a settembre dovrò fare altri accertamenti”. Ma lei è una sportiva vera, che non si ferma davanti a niente.
“Sono orgogliosa della mia età. Anche a 66 anni ci tengo a mantenermi in forma. Non ho giocato soltanto a pallacanestro, in vita mia ho corso anche tre maratone. Ho dedicato la mia vita allo sport e sono contenta della mia scelta. Come giocatrice l’unico rammarico, salvo l’esperienza a Roma, è di non essermi mai allontanata da casa. L’avessi fatto avrei vinto di più, forse anche lo scudetto”. Prima di Albufeira si è allenata tre volte alla settimana, una delle quali in squadre miste composte anche da maschi. E ha fatto anche una partita nel campionato Csi con compagne più giovani. “Avevo bisogno della parte agonistica. In Portogallo se ho giocato è perché ero pronta fisicamente, e questo mi ha aiutato a giocare anche con una mano sola. Fare la pallacanestro non basta. Senza la preparazione atletica alla mia età si rischia l’infortunio”. Una volta lo sport superati i 40 anni era appannaggio esclusivamente dei maschi. “Le donne preferivano dedicarsi alla famiglia. Adesso non è più così. E anche questo – conclude – è un segno di emancipazione delle donne”.
Credit foto: di Luciano Barbuto