Zootecnia e allevamenti intensivi in Italia, Lazio politico ne parlato con Ilaria Scarpetta, Ufficio Affari istituzionali WWF Italia ETS
Ilaria, recentemente a Roma insieme ad altre associazioni avete organizzato un convegno sugli allevamenti intensivi in Italia. Qual è la situazione nel nostro Paese? Dal rapporto ISPRA, Ambiente in Italia: uno sguardo d’insieme, Annuario dei dati ambientali 2023, emerge che al 2020 gli animali allevati in Italia sono circa 23 milioni (quasi 6 mln di bovini 8,5 mln di suini 7,2 mln di ovini, quasi 1 mln di caprini). In questo contesto, tra natura selvatica e produzione di cibo si compete una risorsa fondamentale: il territorio. L’industria zootecnica occupa infatti, direttamente e indirettamente, il 30% delle terre emerse non ricoperte dai ghiacci del Pianeta che viviamo. L’agricoltura trasforma un ecosistema naturale, con le sue piante e i suoi animali, in un ambiente artificiale, semplificato, che va poi difeso dai tentativi della natura di riprenderne possesso con l’aratura e l’uso di pesticidi ed erbicidi. Dopo il raccolto, poi, si ripristina la fertilità del suolo con i fertilizzanti. Tutto ciò ben si comprende che ha un impatto intensivo sui territori. Tuttavia, esistono modi diversi, da quelli intensivi, di fare agricoltura. Infatti, alcuni sistemi di produzione agricola, quali l’agricoltura biologica, l’agricoltura rigenerativa e altri sistemi dell’agroecologia, possono avere un ruolo positivo nello sviluppo di processi di riduzione dell’inquinamento e di degrado ambientale e di ripristino della capacità di fornire servizi ecosistemici. Dunque, sono sistemi che producono valore sociale.
Con riferimento agli allevamenti intensivi, alcuni impatti, poco visibili nel breve periodo, riguardano il degrado degli habitat acquatici, le emissioni atmosferiche, lo sviluppo di zoonosi, il concorso all’antibiotico-resistenza e i costi associati alla depurazione e al disinquinamento delle acque. In Italia gli allevamenti intensivi, a causa delle emissioni di ammoniaca degli animali e dei loro liquami, rappresentano la seconda causa di inquinamento da polveri fini, le PM2,5: pericolose perché penetrano più profondamente nel nostro organismo e causano ogni anno decine di migliaia di morti premature in Italia. Gli allevamenti intensivi concorrono anche a esasperare i problemi legati alla siccità: oltre un terzo dell’impiego d’acqua in agricoltura è legato alla produzione zootecnica.
Quando si parla di allevamenti intensivi, è importante fornire anche alcuni dati riguardanti le nostre abitudini. Dal 1960 ad oggi, il consumo di carne globale è aumentato di cinque volte, passando da 70 milioni ad oltre 300 milioni di tonnellate all’anno. Stiamo assistendo ad un vero e proprio allineamento mondiale delle diete sempre più ricche di carne, prodotti caseari, grassi e zuccheri. Siamo al punto che, nonostante per un adulto il consumo annuo consigliato di carne sia intorno ai 20 kg, in alcuni Paesi, Italia compresa, se ne mangia il doppio se non il triplo.
Ma non solo, l’insostenibilità del sistema attuale è dato anche da altri due dati: alle aziende agricole più grandi è destinato l’80% dei sussidi diretti della PAC (Politica agricola comune), sebbene rappresentino poco più del 20% delle aziende agricole italiane, le più grandi. Di contro, tra il 2007 e il 2022 il nostro Paese ha perso oltre la metà (il 51%) delle sue aziende agricole di piccole dimensioni.
Quelle poste dal sistema degli allevamenti intensivi sono dunque sfide urgenti a cui il WWF Italia, insieme a Greenpeace Italia, Lipu, Medici per l’ambiente-ISDE, Terra!, ha risposto coinvolgendo la cittadinanza e presentando lo scorso febbraio una proposta di legge (oggi l’atto camera 1760) a cui hanno aderito più di 20 parlamentari rappresentanti cinque diverse forze politiche. Ma non ci si è fermati ad un’iniziativa nazionale. Infatti, nel corso del convegno organizzato a fine ottobre, per sensibilizzare le comunità locali sul tema, abbiamo presentato al pubblico una mozione quale strumento a disposizione dei Comuni e dei cittadini per sostenere l’iniziativa di legge. Si tratta proprio di una mozione la cui finalità è quella di favorire la conversione in chiave agroecologica del comparto della zootecnia legato agli allevamenti intensivi, garantendo così il rispetto dell’ambiente, l’accesso a cibi sani e di qualità e margini di guadagno più equi per i produttori.
Come accennavi, l’iniziativa è stata anche l’occasione per parlare della proposta di legge dal titolo “Oltre gli allevamenti intensivi. Per una transizione agro-ecologica della zootecnia”, presentata a febbraio in Parlamento. A proposito della proposta di legge, politica e istituzioni sembrano a favore ma da quasi un anno non è stata ancora calendarizzata. Cosa ne pensi? La proposta di legge è stata depositata da un gruppo di parlamentari (oggi 22) alla Camera dei deputati rappresentanti 5 partiti differenti (minoranza e maggioranza parlamentare). L’assegnazione è poi avvenuta alla XIII Commissione Agricoltura, in sede Referente, il 26 luglio 2024.
Adesso i lavori della Commissione devono essere organizzati dall’Ufficio di Presidenza.
Il nostro impegno per sensibilizzare il Parlamento sul tema è costante e l’auspicio è che questo analizzi profondamente le ragioni di un sistema che è in crisi da tempo, specie per le piccole imprese. C’è da dire mentre in ambito parlamentare il tema non sembra essere di prioritario interesse per l’Ufficio di Presidenza della Commissione Agricoltura della Camera, già tre Comuni (Spoltore, in provincia di Pescara, San Vito al Tagliamento, in provincia di Pordenone, e Castenedolo, in provincia di Brescia) hanno approvato la mozione promossa dalla Coalizione di Associazioni volta a chiedere al Parlamento e al Governo di lavorare per la transizione del sistema: un segnale importante che ricorda ai parlamentari che il Parlamento è quell’organo costituzionale che deve “prevedere”.
A tuo giudizio, in Italia, quanto ci vorrà prima di una completa e concreta transizione ecologica del settore zootecnico? Transitare significa effettuare un passaggio da una condizione (o situazione) a una nuova e diversa. Dalla mia prospettiva, ritengo che la piena transizione di questo settore possa essere raggiunta allorquando il sistema educativo, di ricerca e di finanziamento, pubblico e privato, saranno indirizzati nella direzione di contrastare la crisi ecologica che viviamo, la cui causa sono i sistemi economici e produttivi creati e le nostre stesse abitudini. Per far ciò, però, occorre essere prima di tutto consapevoli dei cambiamenti che ci sono stati nel passato e mi riferisco in particolare alla Grande accelerazione. Dalla metà del XX secolo, infatti, il ritmo accelerato dell’uso di energia, le emissioni di gas serra e la crescita della popolazione hanno spinto il pianeta dentro un gigantesco esperimento: la popolazione del pianeta è triplicata e gli abitanti delle città sono passati da 700 milioni a più di 3,5 miliardi. Questo significa che se da un lato vi è un progresso tecnologico, dall’altro occorre gestire dei rischi sempre più interconnessi e dovrebbe essere così chiaro a tutti il bisogno di ricercare una nuova efficienza alimentare che prediliga produzioni a più basso consumo di risorse e con minori impatti ambientali, sociali e sanitari.
Educazione alimentare, investimenti maggiori in ricerca e finanziamento delle pratiche egroecologiche attraverso l’adozione di un giusto piano di conversione, ritengo che siano azioni fondamentali. Questo contribuirebbe a valorizzare tutte quelle piccole realtà presenti sul territorio che attraverso l’uso di pratiche agroecologiche assicurano cibo di qualità e tutelano ambiente, salute umana, benessere animale, lavoratrici e lavoratori del comparto.
Tuttavia, dopo la messa in discussione del Green deal europeo e il suo incerto destino con la nuova Commissione, il vero problema non è quanto tempo servirà per completare la transizione ecologica degli allevamenti intensivi, ma quanto tempo dovremo attendere per l’avvio di questa transizione, sostenuta con convinzione dai decisori politici, dalle imprese e dai cittadini. I prossimi mesi saranno determinanti sia a livello europeo con la proposta della PAC post 2027, sia a livello nazionale con l’avvio della discussione in Parlamento della nostra proposta di legge.