Ariccia, il ritorno di Caravaggio a Palazzo Chigi dal 27 settembre

Ariccia, il ritorno di Caravaggio a Palazzo Chigi dal 27 settembre

Dopo l’enorme successo della mostra di Ariccia Caravaggio. La presa di Cristo dalla Collezione Ruffo, tenuta nel 2023-24, le successive esposizioni a Napoli, Fondazione Banco di Napoli, Salerno, Complesso San Michele, Gorizia, Fondazione Cassa di Risparmio, che hanno visto nelle quattro tappe la presenza di oltre 100.000 visitatori, il capolavoro attribuito al Merisi torna a Palazzo Chigi.
Infatti il Comune di Ariccia ha stipulato una convenzione di comodato con il proprietario, il collezionista Mario Bigetti, per un’esposizione continuativa dell’opera per cinque anni. 
Lo schema di comodato gratuito del dipinto, sottoposto a tutela storico artistica essendo stato notificato nel 2004 dallo Stato italiano come bene d’importanza nazionale, è stato approvato dal Ministero della Cultura, Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, con decreto a firma del Soprintendente per l’Area Metropolitana di Roma e per la Provincia di Rieti, Arch. Lisa Lambusier, il 10 settembre 2025.

Sarà possibile vedere il dipinto, che rimarrà permanentemente in esposizione al palazzo per i prossimi cinque anni, nella “Sala Borghese” al piano nobile a partire da sabato 27 settembre, in concomitanza con l’apertura della mostra I Tommasi Ferroni. Stravaganze e bizzarrie della pittura virtuosa. La visita al palazzo includerà quindi anche la visione del dipinto.

L’attribuzione a Caravaggio, sostenuta sin dal suo riapparire nel 2003 dai massimi specialisti sul pittore, a partire da Denis Mahon, Mina Gregori, Maurizio Marini, sulla scia dell’importanza dell’opera affermata da Roberto Longhi sin dal 1943, è stata confermata da studiosi come Vincenzo Pacelli, John T. Spike, Clovis Whitfield, Anna Coliva e decine di altri storici dell’arte, anche successivamente al catalogo della mostra del 2023, ove è stato sviluppato per la prima volta uno studio esaustivo sull’opera a cura di Francesco Petrucci. 
La presenza della rarissima cornice originaria “nera rabescata d’oro”, con cui era descritto negli inventari della collezione Mattei da cui proviene, la presenza di numerosi pentimenti e variazioni in corso d’opera emerse dalle indagini diagnostiche, le dimensioni e la composizione più dilatata rispetto a tutte le altre derivazioni, la qualità e le caratteristiche specifiche della pittura, hanno confermato l’attribuzione.

L’esposizione della versione di Dublino alla recente mostra di Roma, ove la tela era protetta da un vetro, non si poteva fotografare ed era sorvegliata a vista senza far avvicinare, unitamente alla totale assenza di indagini diagnostiche e di dati che dimostrassero il suo stato prima del restauro, unitamente alla levigatezza della finitura inusitata nel Merisi, hanno sollevato molte ulteriori perplessità tra gli addetti ai lavori. 
Sarebbe stato auspicabile una visione di confronto ravvicinata tra le due versioni, per poter fornire finalmente elementi di giudizio visivo, ma la tela Ruffo paradossalmente non è stata nemmeno citata nel catalogo di tale mostra, che d’altronde si limita ripetere le stesse cose già note sulle opere esposte. D’altronde cosa si può aggiungere su dipinti oggetto di una bibliografia sterminata?

Il quadro viene esposto nella Sala Borghese al piano nobile come opera d’arredo, quale elemento costitutivo della quadreria di un palazzo storico, non come oggetto di mostra temporanea, inserendolo armonicamente nel contesto della dimora chigiana. Visitando il palazzo sarà così possibile ammirarlo nuovamente, come era fruibile nei suoi contesti originari, i palazzi Mattei e Ruffo.  

Ricordiamo che al tempo dei Savelli era conservata nel palazzo la Negazione di Pietro del Caravaggio, oggi presso il Metropolitan Museum di New York, oltre a numerose opere di Orazio e Artemisia Gentileschi, quindi sotto certi aspetti un richiamo ai contenuti della quadreria caravaggesca dei primi del Seicento.