L'intervista, Roma Capitale
L’INTERVISTA – Luca Andreassi: “Fermare il disastro rifiuti a Roma si può. Ecco come”
Luca Andreassi, professore presso la Facoltà di Ingegneria delll’Università di Roma Tor Vergata, è uno dei maggiori esperti in gestione dei rifiuti nella Regione Lazio.
Sotto la sua guida da delegato, la Città di Albano Laziale è passata dallo 0% all’82% di livello di raccolta differenziata, con una sostanziale riduzione della tariffa, vincendo vari premi nazionali, Comune Riciclone per la plastica nel 2018, sul podio nazionale per la quantità di abiti usati raccolti.
CoVid permettendo, in primavera si voterà a Roma e, sicuramente, la gestione dei rifiuti sarà al centro del dibattito politico. Qual è la situazione a Roma?
Drammatica. Peggiore, lo dicono i dati sulla differenziata, di prima dell’insediamento della Sindaca Raggi, che sui proclami sui rifiuti ci ha costruito una fetta importante del proprio consenso.
Ci faccia capire meglio. Ci può aiutare a contestualizzare la situazione?
A Roma si paga una delle più alte tariffe comunali d’Italia. Ogni ora partono 7 tir, rigorosamente a motorizzazione Diesel di vecchia generazione e, dunque, altamente inquinanti, verso impianti dislocati nelle otto Regioni in cui Roma porta i propri rifiuti.
L’autonomia del Comune nella gestione dei propri rifiuti è del 15%. Ovvero l’85% dei rifiuti viene mandato fuori Città. Per capirci, a Milano sono prossimi al 100% di autonomia. Pensare che Roma ce la possa fare con questi numeri è impossibile.
Da cosa dipende una percentuale di autonomia così bassa?
Dipende dalla scelta di questi anni di dire “no” a qualsiasi impianto, che ha solo contribuito ad aggravare la dipendenza dalle Regioni circostanti. Ma non parlo di impianti impattanti o inquinanti quali inceneritori o impianti di trattamento meccanico biologico, ma impianti che consentano di valorizzare le frazioni merceologiche separate dalla raccolta differenziata.
Parlo di impianti di compostaggio, di recupero plastica, carta e vetro di dimensioni e taglie tali da essere integrati nel territorio e accettati dai cittadini dell’area in quanto ne ravvisano l’assenza di impatto ambientale e l’immediato ritorno economico.
Però qualcosa si sta muovendo. Finalmente AMA ha approvato i bilanci 2017/2018/2019.
Sì. Senza i classici proclami, il 7 novembre scorso sono stati approvati i bilanci degli ultimi tre anni dall’amministratore unico dell’azienda, Stefano Zaghis. I bilanci sono stati approvati insieme al piano di risanamento e a quello industriale.
Ora la palla passa al Comune di Roma. Ballano ancora circa 360 milioni di euro di crediti e debiti tra Ama e Roma Capitale e viceversa. Tra questi, in particolare, la municipalizzata pensa di avere diritto al riconoscimento di 115 milioni da parte del suo socio unico.
Neanche su Ama la vedo ottimista.
Secondo una inchiesta di qualche mese fa, sembra che AMA lasci in strada in media circa un quinto dei rifiuti prodotti a Roma e si stima che il 40% dei mezzi sia fuori uso. Certamente il cambio di 7 management negli ultimi tre anni non ha aiutato la municipalizzata del Comune. Aggiungo che, a fine settembre, la stessa AMA nella relazione di accompagnamento al piano finanziario 2020 ha ammesso di non aver raggiunto tutti gli obiettivi previsti. Tradotto significa che il Comune sarà obbligato a sanzionare AMA che non potrà che rivalersi sui cittadini che vedranno la tariffa salire ancora.
Ha detto che è stato presentato un piano industriale insieme all’approvazione dei bilanci. Come le sembra?
È un documento estremamente confusionario ad iniziare dall’inquadramento normativo, tra Direttive Europee, Leggi nazionali, Piani di rifiuti Regionali e delibere di Giunta per provare a dimostrare che il raggiungimento del 61% della differenziazione dei rifiuti possa essere visto come un obiettivo in linea con le normative.
Non ne sono convinto affatto. Ma il punto è che con quanto previsto dal piano credo sia impossibile arrivare al 61% di differenziata in tre anni,
Ci spieghi meglio.
Il Piano industriale presentato ha il principale limite di non ragionare per priorità e mischiare scelte necessarie e dunque prioritarie con altre assolutamente populiste e senza senso. Roma, ed AMA, hanno bisogno di impianti. Compostaggio, per esempio. Si parla, senza specificare la tipologia di due impianti di compostaggio a Casal Selce e Cesano per una complessiva capacità di 100.000 tonnellate annue.
Quantità assolutamente non sufficiente a trattare l’organico di Roma qualora raggiungesse davvero gli obiettivi previsti. Un’aspirina per un malato di cancro. Contestualmente si prevedono investimenti per compostiere di comunità, verso le quali non ho alcuna pregiudiziale ma che sarebbero ingestibili nell’attuale sistema di gestione dei rifiuti romani e, soprattutto, e si tratta di diversi milioni di euro, per un impianto per il trattamento di pannolini, pannoloni ed assorbenti.
Insomma, a Roma non si riesce a differenziare carta, plastica, vetro, frazione organica dal residuo indifferenziato e, seriamente non a mo’ di battuta, si pensa ad un impianto che prevedrebbe la raccolta di un’ulteriore frazione. Pazzesco. Ed offensivo nei confronti dei romani.
Il tutto insieme alla convinzione, non si capisce su quali basi, per cui nei prossimi tre anni si ridurrà la produzione dei rifiuti dei romani di oltre il 4%. Ridurre la produzione dei rifiuti è certamente un obiettivo di ogni Amministrazione virtuoso ma è anche il più complicato, dipendendo da fatti esterni alle volontà delle Amministrazioni stesse. Si pensi ad esempio agli imballi della grande distribuzione.
Quindi prima si raggiunge il 65% di differenziata e poi si pensa alla riduzione della produzione dei rifiuti.
Un piano tutto da buttare, dunque?
Mi tengo la consapevolezza evidenziata che senza impianti da gestire AMA sia destinata a fare una bruttissima fine. Mi pare un punto centrale anche della prossima campagna elettorale. Capire se si voglia un soggetto pubblico o un privato nell’effettuazione della raccolta e quali siano gli impianti che avrà in gestione.
Cosa farebbe Luca Andreassi a Roma?
La premessa è che a Roma si continua a ragionare pensando al materiale raccolto nei contenitori stradali. Materiale indifferenziato umido che deve necessariamente essere trattato negli impianti di trattamento meccanico biologico. Impianti inquinanti, pericolosi, lo dimostrano i numerosi incendi che si sono verificati, ma soprattutto inutili qualora si effettui la differenziata grazie alla quale la stabilizzazione biologica del residuo indifferenziato non risulterebbe più essere necessaria.
Ed è proprio l’AMA per prima a non credere in se stessa se è vero che, nel piano impiantistico compare un impianto TMB da realizzare a Roma. Su cui investire sessanta milioni di euro e per una capacità di 540.000 tonnellate l’anno. Significherebbe un drammatico ritorno al passato nella concezione stessa della gestione dei rifiuti.
Fatta questa premessa obbligatoria, ragionerei per priorità. Ed a Roma le priorità si chiamano raccolta differenziata ed impianti. È piuttosto incredibile che nel Piano di AMA non si faccia cenno alla profonda diversità geografica, urbanistica e sociale di Roma. Quindi la prima cosa da fare è suddividere la città per distretti il più possibile omogenei. Attuando la tipologia di raccolta adeguata. Lì dove possibile si farà il porta a porta.
Lì dove non è possibile, penso ai quartieri popolari con palazzoni a molti piani, si possono attuare dei sistemi tecnologicamente avanzati quali i contenitori stradali intelligenti. Un mix di soluzioni tagliate su misura e non adottate a caso. Contestualmente in ogni distretto vanno definiti degli impianti di taglia compatibile all’area per valorizzare le frazioni raccolte in quel distretto.
Superando così l’avversità dei cittadini verso qualsiasi tipo di soluzione impiantistica perché capirebbero che quegli impianti sono destinati a trattare solo i rifiuti prodotti da loro, che non sono inquinanti, che sono integrati e che, soprattutto creano ricchezza per loro stessi.
E poi, come detto, ragionare su AMA. Se il soggetto deve essere un soggetto pubblico, questi impianti vanno gestiti da AMA. Non c’è grande discussione.
In conclusione, c’è speranza dunque?
Assolutamente sì. Purché il problema rifiuti venga affrontato con logica scientifica, avendo chiari gli obiettivi. La cosa peggiore che chi ha amministrato Roma negli ultimi anni ha fatto nei confronti dei romani è inculcare una sorta di rassegnazione.
Una specie di convinzione che a Roma i problemi non si possano risolvere. Bene, questo è falso. Roma paga, purtroppo, una clamorosa incapacità, un disinteresse in materia rifiuti da cui, però, si può e si deve uscire. Certamente non con piani arraffazzonati senza capo né coda.
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